Tranquillo Casmix, non me la prendo!
ci tengo però a spiegare perché non concordo con il tuo commento. Dici che il messaggio ti è arrivato, ma da quanto hai scritto temo che non si tratti del messaggio giusto.
Mi rendo conto che conoscendo le mie preferenze il testo possa essere erroneamente interpretato come un modo di far passare Bertolt per “il santo” e Eren per “il cazzone” di turno, ma ti assicuro che non è così. Ci sono diversi elementi all’interno del racconto che dovrebbero trasmettere un messaggio del tutto diverso.
Intanto, di Bertolt non viene mai data una descrizione “reale”. Le uniche opinioni che abbiamo su di lui sono quelle pensate da Eren, che nel giudicarlo è pesantemente condizionato dal fatto che questo lavori già accanto a Reiner, posto a cui lui ambisce. Bertolt “timido”? Non sembrerebbe proprio, dato che è lui il primo che cerca di spezzare il ghiaccio per alleggerire l’atmosfera. Al contrario, sembrerebbe molto più insicuro uno come Eren, che risponde a monosillabi, ansioso di tornarsene in ufficio perché di Bertolt ha già capito che gli basta un “buongiorno” per sapere di che pasta è fatto.
Penso che Eren, prima di scoprire quanto in realtà non fosse affatto speciale, fosse molto sicuro di sé e delle sue capacità nel manga, anche troppo, cosa che mi ha spinto a vederlo allo stesso modo in un contesto AU, dove ritiene di meritare una posizione lavorativa accanto a Reiner molto più della sua “spalla” attuale, che pur non conoscendo affatto ha già bollato come sfigato e banale. In realtà, la sua non è altro che rabbia, derivante dal fatto di dover rimandare ancora il suo dialogo con Reiner, persona che lui stesso descrive carismatica, lasciando trasparire nei suoi confronti una certa stima.
“Dare una buona impressione è tutto quello che conta”, Eren è convinto di questo, tanto che indossa “la sua giacca migliore” e si prepara al colloquio con quello che, in fin dei conti, non dev’essere neanche un tipo poi così importante se come ristorane va a scegliere un fast food.
Il successo, il ruolo “importante” è tale solo nella testa di Eren, che fa del suo scopo più una questione di principio che altro.
Sì, la scena finale mira a farlo sentire un idiota, ma non per esaltare la presunta “bontà” o “maturità” o addirittura “superiorità” del personaggio di Bertolt: semplicemente, “tutto quello che conta” diventa il nulla in appena una frazione di secondo, e tutte quelle cose che prima Eren non calcolava (la vecchia, i ragazzini, addirittura un barbone) o classificava come vuote (Bertolt) diventano all’improvviso la ragione per cui è felice di essere ancora vivo.
In una frazione di secondo, Eren torna con i piedi per terra e si ricorda che nulla conta più della possibilità di essere vivo. Si scusa mentalmente con Bertolt per averlo giudicato senza conoscerlo, non perché è il suo santo in quanto persona che gli ha salvato la vita.
Quindi no, lo scopo della storia non è dire al mondo che Bertolt è meraviglioso e Eren un cazzone: sono una persona un po’ più pronfonda di così