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[Fanfiction] Niente di certo, Spoiler capitolo 91

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view post Posted on 12/3/2017, 21:06     +4   +1   -1
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Polizia Militare

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Non aprite lo spoiler se non siete arrivati al capitolo 91 :asd:

La somiglianza fra Udd e Bert mi ha dato l'ispirazione per scrivere questa storia, ambientata poco tempo prima del capitolo 91 (giusto per essere sicuri, visto che Udd potrebbe morire già nel prossimo :asd: e visto che mi ci sto affezionando, probabilmente succederà :fg: )
Sono peggio della Signora in Giallo :facepalm:


C6rR1i5WYAA2Cru


Per leggere la storia cliccate su questo link o nello spoiler sottostante <3

Niente di certo

Euforia, paura e l’incertezza di cosa lo stesse aspettando percorrevano le gambe di Udd un passo dopo l’altro. Obbediente, seguiva la figura austera dell’ufficiale che lo precedeva, un uomo grezzo e di poche parole, ma abbastanza importante da inibire ogni domanda.
Erano trascorsi diversi minuti da quando quello stesso individuo era venuto a prelevarlo dal campo di battaglia; era raro che un candidato al ruolo di guerriero venisse interrotto nel bel mezzo della sua formazione, a esclusione di casi eccezionali dettati dall’alto. Il generale Braun vuole vederti - questo, era senz’altro uno di quelli.
Udd deglutì, e la sua mente volse a un ricordo lontano di qualche giorno. Era avvenuto di sera, poco dopo il tramonto. Il fronte puzzava di sangue e polvere da sparo, ma non c’erano uomini ad assistere, se non i cadaveri che giacevano al suolo in un miscuglio di colori contrastanti, così come i principi che avevano difeso. Il capitano Magat aveva ordinato il ritiro di tutti i cadetti dalla trincea, ben attento a non rischiare la perdita di altri, giovani eldiani adatti a ereditare il ruolo di Titano Corazzato. Sapevano benissimo che si sarebbe trattato solo di un ritiro temporaneo, il tempo che bastava per riprendere fiato e poi immergersi di nuovo in quell’inferno che durava da quasi quattro anni. I ragazzi erano stati portati in una caserma poco lontana dalla zona rossa, dove il popolo degli slavi aveva costruito la sua invalicabile fortezza. Qui, al calare completo del sole, aveva fatto ingresso anche l’unità aerea di cui faceva parte proprio il generale Reiner Braun, l’attuale detentore del prezioso potere che i cadetti si contendevano.
Aveva un aspetto terrificante, il generale Braun. I lineamenti duri smussavano il viso proiettando ombre sempre scure, indipendentemente dal tipo di luce che vi batteva. Non era un uomo di molte parole, e aveva l’aria seria e composta di un vero ufficiale di Mahle. Secondo alcuni, cinque anni nell’isola di Paradi gli avevano insegnato a odiare così tanto la sua razza che ora non aveva più niente di eldiano, se non la facoltà di trasformarsi in Titano. D’altronde, come biasimarlo? Gli eldiani di Paradi erano il male: avevano abbandonato i propri consanguinei alla dittatura spietata del popolo di Mahle, che li aveva segregati in zone ristrette del continente, monitorando ogni loro comportamento come degli animali in gabbia.
Ma la libertà non era l’unica cosa che il generale aveva perso. Da quella missione, era tornato da solo, senza il gruppo di guerrieri partito con lui nove anni prima; di cosa dovesse aver vissuto si poteva avere solo una vaga, labile idea.

“Eccolo lì, l’uomo di cui prenderò il posto”.

Udd aveva rivolto gli occhi verso Gabi, una delle ragazze più audaci nel suo gruppo, anzi: la più audace di tutte. Determinata a ereditare il ruolo del generale, non aveva saputo tenere a freno la lingua neanche in presenza dello stesso.

“Sei proprio sicura di te” alla sinistra di Udd, Falco aveva iniziato a provocare la compagna d’armi “Cosa ti dice che il capitano Magat sia l’unico giudice di questa prova? Magari anche il parere del generale conta qualcosa, anzi… magari alla fine sarà lui a decidere”.

Una risata divertita aveva introdotto la risposta della ragazza, puntuale nel controbattere con la sua caratteristica prontezza.

“Ma figurati! Non darebbero mai un compito del genere a un eldiano, questi qua. Piuttosto, preferirebbero lanciare un dado e affidarsi alla sorte”.

“Tu sei pazza” aveva assunto un’espressione allarmata, Falco “Se continui a parlare in questo modo dei superiori prima o poi qualcuno ti sentirà e sarai punita. E lo sai che tipo di sanzione spetta per allusioni razziste”.

“Ah! Ma piantala, tu e il tuo buonismo da quattro soldi. Se sei così codardo da non avere neanche il coraggio di dire quello che pensi, con quale fegato ti candidi al ruolo di guerriero?”

Erano bastati quei pochi secondi di distrazione per permettere a un gruppo di uomini di raggiungere indisturbati i ragazzi. Attirati prima dalla risata di Gabi, poi dal chiacchiericcio che vi aveva seguito, i militari si erano disposti in fila di fronte a loro. Avevano tutti lo stesso rango, eccetto uno: il generale Reiner Braun.
All’istante, non si era più sentito un brusio. Solo Udd, che fra tutti era notoriamente il più timoroso, aveva mandato giù un sonoro sorso di saliva, tremando dalla testa alle ginocchia: il generale se ne stava immobile proprio di fronte a lui.
Con lo sguardo fisso sul viso del ragazzo, l’uomo gli aveva fatto un cenno con il dito all’altezza degli occhi, piegando e abbassando le falangi per comunicare un ordine gestuale che Udd non era stato in grado di recepire.

“Gli occhiali” era intervenuto uno degli altri soldati.

“Ah! S-sì… subito!” balbettando, Udd aveva eseguito l’ordine, mettendo bene in mostra il proprio volto all’attenzione dei superiori.

Da lì, il silenzio era durato per un periodo di tempo indefinibile. Si era sentito quasi come se si fosse addormentato in piedi, Udd, per poi risvegliarsi quando, per puro caso, era riuscito a sentire la voce del generale.

“Qual è il tuo nome?”

L’aria di sorpresa nei suoi occhi nel sentire quella domanda non era passata inosservata allo sguardo di nessuno. Con quella risata e quel battibecco, lui non aveva avuto niente a che vedere, eppure il tono di quella richiesta sembrava nascondere qualcosa di poco rassicurante.

“U-Udder! È Udder, signore…”

Era bastata quell’informazione perché il generale perdesse interesse in qualsiasi altro tipo di domanda. Aveva dato uno sguardo rapido agli altri ragazzi, per poi lasciare la zona, unendo le mani dietro la schiena.
Ancora, Udd non era riuscito a trattenere una certa angoscia. Non aveva mai avuto un contatto così diretto con quell’uomo, né si era mai sentito tanto in soggezione di fronte a un superiore. Quegli occhi scuri lo avevano identificato, riempiendo la sua testa delle domande più disparate.

“Tanto ho ragione io” dopo un lungo momento di silenzio, Gabi aveva ripreso in mano il discorso, stringendo i pugni con una rabbia mai vista prima “Il generale Braun non conta un cazzo. Non sarà la sua opinione a fare la differenza”.

Ed era stato proprio in quel momento che alla paura e all’incertezza si era andato ad aggiungere, nel cuore di Udd, un sottile margine di speranza. Forse, qualcuno aveva parlato di lui al generale? Forse, i buoni voti accumulati con fatica per tutti quegli anni e il tempo speso a contatto con la realtà bellica lo avevano distinto al punto da ritenerlo già il degno erede del Titano Corazzato?
Udd non ne aveva la certezza, ma non poteva fare a meno di pensarci mentre seguiva il suo superiore lungo lo stretto corridoio che portava agli alloggi del generale. L’aspetto di quel capannone non sembrava diverso da quello in cui risiedeva la sua squadra. Pareti di un bianco sporco distinguevano le varie aree della struttura, limitando la luce già scarsa che vi giungeva all’interno. Aveva sempre immaginato un trattamento diverso per i guerrieri: in fondo, alle loro famiglie venivano sempre offerte delle concezioni speciali, come la libertà di muoversi al di fuori del proprio ghetto e un compenso in denaro non irrilevante. Non era strano credere che lo stesso avvenisse per i figli mandati in guerra, soprattutto se reduci da cinque anni spesi nell’inferno di Paradi e altri quattro sul fronte a difendere la propria nazione.
Ma forse, Gabi aveva ragione: guerrieri o no, gli eldiani non contavano niente. E fu così che l’euforia oscillò ancora dal lato della paura in un’altalena di emozioni che accompagnarono il giovane lungo tutto quell’angosciante e misterioso tragitto. Erano anni che lottava per quel titolo, ma se qualcuno gli avesse domandato il motivo non sarebbe stato in grado di dare una risposta esaustiva. Quello di cui era certo era che essere un guerriero eldiano doveva essere sicuramente meglio che essere un eldiano qualunque; il potere dei Titani faceva degli eldiani una razza sì odiata, ma anche preziosa.

“Siamo arrivati, ragazzino”.

Udd venne scosso dalla voce del suo superiore; era la prima volta che gli parlava da quando era venuto a convocarlo.

“Te lo dirò una sola volta, quindi apri bene le orecchie:” l’uomo si girò verso di lui, piegandosi leggermente per meglio incontrare i suo occhi “Ricordati che il generale Braun è un veterano di guerra, nonché elemento prezioso per l’esercito. Qualsiasi cosa voglia da te, accontentalo e non fare domande”.

Udd iniziò a tremare. Il sudore calava lento dalla sua fronte, inumidendo il volto improvvisamente più pallido. Era solo un ragazzino, ma aveva visto la realtà con i suoi occhi e sapeva cosa un singolo uomo poteva provocare a un altro.

“Mi stai ascoltando, giovane candidato guerriero?” ancora, quella voce tuonante lo risvegliò di soprassalto.

“A-ah! S-sissignore!”

L’uomo tornò in posizione eretta, e con una certa autorità, si limitò a puntare le pupille verso il basso per non perdere il contatto.

“Ricordami il tuo nome”.

“U-Udder. Mi chiamo Udder, signore”.

“Bene, Udder. La porta è quella. Bussa con discrezione e aspetta che il generale ti risponda. E soprattutto, ricorda: qualsiasi cosa ti chieda di fare, falla. Qualsiasi”.

Udd annuì debolmente. Sentì un conato premere con insistenza nel suo stomaco, rivoltato dalla quantità di impulsi mentali che si sovrapponevano nella sua testa. Anche questa, pesante e confusa, cominciò a pulsare nervosamente sulle tempie, carica di un’ansia che non riusciva a sopprimere. Sarebbe voluto scappare via, seppure sotto lo sguardo austero del suo superiore, ma non ne ebbe la forza, né il fegato a sufficienza.
Si fece coraggio, e avvicinandosi con titubanza all’uscio, bussò discreto in attesa di una risposta.

“Avanti”.

Udd riconobbe subito il timbro profondo del generale: la sua voce era molto distinguibile, ma parlava talmente poco che ogni volta era una sorpresa. Entrò silenziosamente all’interno della stanza, chiudendo la porta alle sue spalle. L’alloggio del generale aveva lo stesso aspetto di qualsiasi altra camera all’interno della caserma. Non c’erano quadri o librerie a coprire le pareti umide, invecchiate dal tempo e dal clima, solo uno sporco calendario su cui erano stati segnati i giorni di presenza e quelli di riposo.
Era incredibile come Udd stesse facendo di tutto per evitare lo sguardo di chi sedeva in fondo alla stanza; non voleva mancare di rispetto a una persona così autorevole, ma il terrore aveva preso il sopravvento su ogni formalità.
Fu solo quando il generale si alzò dalla sua scrivania che il giovane non poté più evitarlo. La sua figura si ergeva imponente al centro della stanza, proiettando la propria ombra verso di lui come un invito ad alzare lo sguardo. Udd eseguì, ricordando che non poteva rifiutare niente di quello che sarebbe accaduto, e incontrò i suoi occhi, perdendo ogni potere decisionale.
Braun non disse una parola, fece solo un cenno con la mano, lo stesso di pochi giorni prima, così che Udd si tolse gli occhiali, questa volta già consapevole del tipo di richiesta. Ancora, non seguì alcun commento; l’adulto prese uno sgabello e lo posizionò al centro della stanza, invitando il suo ospite a sedersi.
Il giovane eseguì con una certa reattività. L’ansia era talmente tanta che non opponeva più alcuna forma di resistenza. Tremando, seguiva le direttive gestuali dell’altro senza emettere un fiato. Rimase seduto con le braccia abbandonate sulle ginocchia e lo sguardo assente. L’unica certezza che aveva erano i palmi delle mani che sudati imbrattavano il tessuto dei suoi pantaloni, unendosi al fango e al sangue. Distrattamente, i suoi occhi videro la figura del generale sollevare la sedia della scrivania per portarla di fronte a lui. Lo seguì con lo sguardo mentre si sedeva facendo leva sui braccioli, dando prova di una fatica che non credeva possibile in un fisico apparentemente così sano.
E tornò ancora quell’angosciante sensazione di tempo che non scorreva, la stessa che aveva provato quando l’uomo si era fermato di fronte a lui per chiedergli il suo nome. L’attesa era la sua arma più temibile: con il solo silenzio, il generale riusciva a bloccare il respiro, rendendo il cuore l’unico organo consapevole di essere ancora vivo.
Poi, successe qualcosa che riattivò all’istante ogni funzione cognitiva. La testa riprese a dolere, le mani a sudare e lo stomaco a ribaltarsi quando Braun estrasse un paio di lunghe forbici da una scatola di legno che aveva portato lì insieme alla sedia. Udd non l’aveva neanche notata, preso com’era dall’atmosfera surreale che lo circondava, ma adesso l’agitazione era tale che si lasciò sfuggire addirittura un gemito di terrore.

“Ti avverto, non sono bravo con queste”.

Era così sopraffatto dalla paura che non riuscì neanche a chiudere gli occhi quando l’adulto avvicinò l’oggetto contundente al suo viso; non aveva mai sentito la morte così certa neanche sul campo di battaglia. Quella stanza e quel silenzio erano peggio del rimbombo dei cannoni e della coltre di fumo che annebbiava l’aria, celando il nemico.
Ma bastò un istante, un gesto rapido e concreto a sopprimere parte dell’angoscia e smentire la certezza di una morte imminente. Il generale aveva teso leggermente una ciocca dei suoi capelli, recidendola con un taglio netto e deciso. E in un istante, tutta l’ansia era calata giù nello stomaco, raggiungendo l’intestino e trasudando umida in ogni parte del corpo.
Braun sfregò leggermente i capelli tagliati fra le dita, osservandoli e testandone la consistenza, per poi lasciarli cadere a terra poco a poco. Alzò di nuovo lo sguardo sul suo ospite, e in silenzio continuò a recidere altre ciocche.
Immobile, Udd lo lasciava fare, mentre una tempesta di nuove domande scoppiava violenta nella sua testa: Perché? Ma soprattutto… cosa sarebbe successo alla fine?

“Durante la nostra spedizione al di là del mare, solevamo tagliarci i capelli l’un l’altro”.

In quell’istante, la tensione di Udd subì una leggera variazione. La voce calma del generale accompagnava i suoi gesti, riscaldata da un tono malinconico e nostalgico.

“Io non sono bravo, ma lui era un vero disastro: le sue dita erano talmente lunghe che impugnare le forbici gli faceva venire dei dolorosissimi crampi alle mani”.

Le ciocche cadevano a terra una dopo l’altra, e Udd le guardava come frammenti di ricordi sempre più lontani. Ognuna di esse era una parte di lui che se ne andava, così come le parole del generale, testimoni di un dolore che non lo aveva mai abbandonato.

“Non me lo ha mai detto chiaramente, ma appena smetteva si massaggiava le dita una a una, ignaro di quanto tempo passassi a osservarlo” Braun fece una pausa, richiamando con gli occhi l’attenzione del giovane. Fu allora che Udd si accorse della luce che batteva sul suo volto: quell’aria dura che aveva sempre avuto, così come i lineamenti spigolosi, si erano ammorbiditi assumendo forme più sinuose. Gli occhi, brillanti di un marrone chiaro, quasi dorato, splendevano come l’acqua del mare in un giorno di sole; non erano i suoi, non quelli del generale che pensava di conoscere.

“Non me lo ha mai detto…” riprese questo “… perché non si lamentava mai: cercava solo di fare del suo meglio”.

Seguì un breve momento di silenzio, in cui Braun ripulì le forbici dai capelli in eccesso per poi continuare nella sua attività, sotto lo sguardo basso dell’altro.

“Non lo guardavo mai negli occhi: non volevo metterlo sotto pressione più di quanto non si sentisse già. Così, abbassavo la testa e vedevo le mie ciocche cadere a terra una dopo l'altra. E quando mi accorgevo della diversa lunghezza che cominciavano ad avere, era lì che capivo che non ce la faceva più… e continuavo da solo” senza rendersene conto, tirò con più forza i capelli del giovane, recidendo una ciocca più spessa “Non l’ho mai fatto sentire una persona affidabile, neanche in una cosa così semplice come tagliare i capelli”.

Udd incontrò di nuovo i suoi occhi. Il generale aveva un’espressione assente, persa nel vuoto di un mondo noto solo a lui. Dalla bocca leggermente dischiusa, evadevano respiri profondi, carichi di rimorso e occasioni perdute.
Fu solo quando rinsavì da quello stato di trance che le sue labbra si inarcarono in un lieve sorriso dal retrogusto amaro.

“Ma io… volevo solo che non si facesse del male”.

Ancora, fu come se il tempo si fosse fermato. Udd non capiva per quale ragione si trovasse lì, a parlare del passato con un uomo forse mai, veramente tornato a casa. Cominciò a mettere in dubbio l’idea che aveva di lui, anche se continuava ad averne un po’ di timore; dove voleva andare a parare?
Braun gli fece cenno di girare lievemente la testa, così che cominciò ad accorciare l’altro lato della sua frangia.

“Ero un pessimo barbiere....” con naturalezza, riprese il suo racconto “... ma quando allungavo le forbici verso di lui, era così tranquillo che mi faceva sentire il migliore che ci fosse. Mi faceva sentire il migliore… in qualunque cosa facessi” si morse il labbro inferiore, e dopo aver stentato per un attimo, continuò a parlare “Qualsiasi decisione prendessi andava bene, perché lui si fidava ciecamente di me, tanto che finì per appoggiarsi completamente alle mie scelte, annullando ogni tipo di fiducia in se stesso”.

Udd non sapeva con esattezza cosa stesse provando in quel momento. Se da un lato la situazione lo spaventava, dall’altro la voce del generale aveva un effetto calmante su di lui. L’afflizione e il senso di vuoto presenti nel suo tono, ora più mesto e privo di alcuna impostazione professionale, penetravano nel suo cuore come tante, piccole schegge di vetro che si frantumavano a ogni parola. Un brivido diverso da quello della paura cominciò a fermentare nel suo petto, producendo un calore che lo raggiunse sino alle guance.
Non aveva idea di chi fosse la persona di cui Braun stava parlando, ma sentiva con chiarezza il bruciore delle ferite lasciate dal suo ricordo.

“Mi faceva sentire così forte, che alla fine finii per crederci davvero. Ero così assuefatto dalla forza che mi dava, che non sono mai riuscito dirgli niente… di tutte le belle cose che pensavo di lui” stentò ancora, il generale, prima di tendere l’ultima ciocca “Fino alla fine, io… ho solo saputo farlo sentire come se non fosse mai abbastanza”.

Le forbici si chiusero, e i capelli rimasero stretti fra l’indice e il pollice dell’uomo.
Udd deglutì. Distrattamente, i suoi occhi saettarono sulla superficie del pavimento, rivelando quel poco che era bastato sfoltire per compiacere i desideri del superiore. Continuava a domandarsi il senso di quel gesto, ma soprattutto si chiedeva perché il suo cuore non avesse smesso di dolere in quel modo. Non aveva paura, provava solo un profondo senso di stanchezza. Senza aver mosso nemmeno un dito, Udd era esausto come dopo una lunga giornata trascorsa sul fronte: cominciava sempre con il timore che quello sarebbe stato l’ultimo giorno della sua vita, per poi terminare nell’esigenza di chiudere gli occhi e riposare, preparandosi a un nuovo inferno.
Ma quel giorno, il suo inferno aveva qualcosa di diverso. Per qualche ragione, sentiva che qualcosa dentro di lui stava cominciando a cambiare. Il generale gli mostrò l’ultima ciocca che aveva tagliato, tenendola ben salda fra le dita come un prezioso trofeo di guerra.

“Basta meno di un secondo, e guarda quanto di una persona puoi ottenere”.

Udd non emise un suono, né un sospiro uscì dalle sue labbra. Si limitò a guardare le dita dell’uomo sfregare lentamente i suoi capelli per poi lasciarli cadere al suolo insieme a tutti gli altri. Poi, i suoi occhi incontrarono ancora quelli dell’altro, lucidi e rossi di solitudine, rabbia e rimorso.

“Non ho niente di lui. Niente. Nemmeno uno stupido, misero capello”.

E fu allora che crollò tutto. Crollarono le certezze e crollarono le gerarchie, rivelando solo il lato più umano delle parti coinvolte. Braun allungò le mani sul volto di Udd, pettinandogli i capelli con le dita e tirando indietro quelli più lunghi. Passò i polpastrelli caldi sul suo viso, seguendo la forma degli occhi, del naso e delle labbra, e improvvisamente, tutta la rabbia presente nel suo sguardo lasciò il posto alla dolcezza di un sorriso e di un volto rigati di lacrime.

“Gli somigli… così tanto”.

La voce soffocata dell’uomo arrivò come un’ultima scheggia nel cuore del giovane, e tutto divenne subito più chiaro. I suoi occhi rimasero fissi sulla sedia che il generale abbandonò per inginocchiarsi di fronte a lui e stringerlo a sé come se non lo vedesse da anni.

“Mi dispiace tanto…”

Udd percepì chiaramente tutta la sofferenza presente in quell’abbraccio. Il petto del generale batteva come un tamburo e forti lamenti di dolore echeggiavano nella stanza.
Non c’era niente di certo in quella sporca manciata di eventi che chiamavano vita. Che si fosse eldiani, slavi o nativi di Mahle, non aveva importanza: per quante armi o poteri si potessero avere, alla fine si restava comunque dei semplici e fragili esseri umani.
Fu questo che Udd cominciò a capire.


Edited by Stratovella - 17/3/2017, 02:10
 
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view post Posted on 14/5/2017, 04:01     +1   +1   -1
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Guarnigione

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che bella strato!

l'ultima parte è da stretta al cuore, poi è incredibile, l hai scritta prima del 93, la caratterizzazione di reiner è perfetta, è facilissimo immaginarlo con la sua voce giapponese

una cosa: il registrooo :P lavora per sottrazione
 
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view post Posted on 14/5/2017, 11:38     +1   +1   -1
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Polizia Militare

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CITAZIONE (Gentz @ 14/5/2017, 05:01) 
che bella strato!

l'ultima parte è da stretta al cuore, poi è incredibile, l hai scritta prima del 93, la caratterizzazione di reiner è perfetta, è facilissimo immaginarlo con la sua voce giapponese

una cosa: il registrooo :P lavora per sottrazione

L'hai letta alle 5 di mattina? :omg:
Non avevi niente di meglio da fare? :asd: Scherzo <3 Sono onorata :yecry:

Cos'ha il registro che non va? :unsure: Se ti riferisci al fatto che Reiner si lasci andare è perché è ancora scosso dagli eventi... pora stella :(
 
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Eren;
view post Posted on 14/5/2017, 11:57     +2   +1   -1




Avevi detto di non aprire lo spoiler e naturalmente l'ho aperto XD
ma poco male...non mi interessa visto che ho potuto poi leggere questa tua bellissima storia!

Scrivi benissimo Stratovella e non ho faticato a vedermi scorrere le scene davanti agli occhi.

Adoro la scrupolosità impressa in piccoli gesti come tagliare i capelli e maneggiare le forbici, mi piace perché si mescola ai sentimenti provati dai personaggi che diventano in qualche modo quelli di chi legge.

Questa è una delle parti che ho preferito, è davvero commovente:
“Non lo guardavo mai negli occhi: non volevo metterlo sotto pressione più di quanto non si sentisse già. Così, abbassavo la testa e vedevo le mie ciocche cadere a terra una dopo l'altra. E quando mi accorgevo della diversa lunghezza che cominciavano ad avere, era lì che capivo che non ce la faceva più… e continuavo da solo” senza rendersene conto, tirò con più forza i capelli del giovane, recidendo una ciocca più spessa “Non l’ho mai fatto sentire una persona affidabile, neanche in una cosa così semplice come tagliare i capelli”.

Udd incontrò di nuovo i suoi occhi. Il generale aveva un’espressione assente, persa nel vuoto di un mondo noto solo a lui. Dalla bocca leggermente dischiusa, evadevano respiri profondi, carichi di rimorso e occasioni perdute.
Fu solo quando rinsavì da quello stato di trance che le sue labbra si inarcarono in un lieve sorriso dal retrogusto amaro.

“Ma io… volevo solo che non si facesse del male”.


Continua a scrivere, mi raccomando!
 
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view post Posted on 14/5/2017, 12:36     +1   +1   -1
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CITAZIONE (Eren; @ 14/5/2017, 12:57) 
Avevi detto di non aprire lo spoiler e naturalmente l'ho aperto XD
ma poco male...non mi interessa visto che ho potuto poi leggere questa tua bellissima storia!

Scrivi benissimo Stratovella e non ho faticato a vedermi scorrere le scene davanti agli occhi.

Adoro la scrupolosità impressa in piccoli gesti come tagliare i capelli e maneggiare le forbici, mi piace perché si mescola ai sentimenti provati dai personaggi che diventano in qualche modo quelli di chi legge.

Questa è una delle parti che ho preferito, è davvero commovente:
“Non lo guardavo mai negli occhi: non volevo metterlo sotto pressione più di quanto non si sentisse già. Così, abbassavo la testa e vedevo le mie ciocche cadere a terra una dopo l'altra. E quando mi accorgevo della diversa lunghezza che cominciavano ad avere, era lì che capivo che non ce la faceva più… e continuavo da solo” senza rendersene conto, tirò con più forza i capelli del giovane, recidendo una ciocca più spessa “Non l’ho mai fatto sentire una persona affidabile, neanche in una cosa così semplice come tagliare i capelli”.

Udd incontrò di nuovo i suoi occhi. Il generale aveva un’espressione assente, persa nel vuoto di un mondo noto solo a lui. Dalla bocca leggermente dischiusa, evadevano respiri profondi, carichi di rimorso e occasioni perdute.
Fu solo quando rinsavì da quello stato di trance che le sue labbra si inarcarono in un lieve sorriso dal retrogusto amaro.

“Ma io… volevo solo che non si facesse del male”.


Continua a scrivere, mi raccomando!

Grazie :wub:

Anch'io amo quella parte, sintetizza alla perfezione tutto il senso di colpa provato da Reiner :(


Scrivere è uno dei miei passatempi preferiti, non smetterò mai :flower:
 
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