The end of the road
“Caporale... mi dia subito quel siero!”.
“No. Lo useremo sull'uomo che porterà l'umanità alla vittoria”.
Il cielo è scuro, e l'aria una nube densa che si infila a forza nei polmoni. Sa di sangue, cenere e morte. Eppure, in quel clima arido e malsano, c'è chi ancora lotta per la vita.
“Caporale!”
Nel silenzio della città spenta, la voce di Eren è un ruggito che penetra nel petto e brucia, brucia forte. E si stringerebbe a sé se potesse; se potesse, si chiuderebbe nel calore del suo corpo come ha sempre fatto, fuggendo all'ostilità di un'esistenza mai voluta.
“Aveva detto che lo avremmo usato su Armin!”
L'ira cresce, e persino la vita diventa una minaccia. E lui, che come minaccia è stato messo al mondo, può solo ascoltare mentre il sangue scorre, sgorgando dalla gola squarciata.
Agonia. Forse la merita, forse no. Ha smesso di chiederselo da diverso tempo, da quando le Mura hanno spaccato il cielo e diviso i sentieri. La verità, è che ormai non importa più niente. Rabbia, delusione, tradimento: sono emozioni che appartengono ad altri. Nessuno grida per lui, e nessuno tornerà a gridare rivendicando la sua salvezza.
La sua strada è terminata su un cumulo di tegole sgretolate, un vicolo cieco tanto buio che sembra non avere una fine. E non gli importa più del come: basta che la trovi il prima possibile.
Dunque, chi sarà dei due? Armin o il comandante? Entrambi lottano per un sogno, aggrappandosi alla vita con le unghie e con i denti. Perché la perseveranza nasce dalla volontà, dal vedere i propri desideri librarsi nel cielo di quel mondo crudele che lui non ha mai saputo amare. Lui, che al mondo ha sempre voltato le spalle, non merita rabbia, non merita grida e non merita salvezza; si è scagliato nel grigiore della sua esistenza con la violenza di chi costretto vuole mandare avanti il tempo e riposare, chiuso nell'illusione di poter stringere a sé le poche cose care.
E proprio quelle, radicate nel punto più dolente del suo cuore, tornano alla mente pallide e sbiadite, come ricordi lontani di esperienze mai assaporate nella loro appagante interezza. E vorrebbe toccarle, quelle figure. Vorrebbe avvicinarle e stringerle a sé una prima e un'ultima volta per far capire loro l'importanza di esserci state. Anche se inconsapevoli, anche se orgogliose, deboli e tenaci allo stesso tempo, Bertolt vorrebbe dire loro che se sta morendo è perché non ha saputo rifiutarsi del tutto. Non rifiuta di sé ciò che loro sono stati: non rifiuta la sensazione di smarrimento di fronte agli occhi di Annie, il vero cielo del suo mondo; non rifiuta la stretta calda e sicura delle mani di Reiner, l'unica salvezza nelle notti fredde e agitate.
Non rinnega se stesso, proprio adesso che è un oggetto: un sacrificio offerto in dono ai più meritosi, a chi non ha avuto paura di rinunciare a quelle cose che per lui sono tutto.
È con la consapevolezza di non aver sacrificato il suo mondo che anche Bertolt comincia a lottare, sfidando il dolore con il cuore in attesa della morte.